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In sala French Connection con Dujardin-Lellouche

Partendo dal poliziesco, il regista imbastisce una trama fittissima e ricca di rimandi, dalla quale si scorge in trasparenza un’epoca...

La capitale europea del traffico dell’eroina, negli anni Settanta, è Marsiglia. E la leadership è saldamente in mano alla French Connection, rete mafiosa più che tentacolare, capace di gestisce il business della droga (e non solo) controllandone ogni passaggio, dalla produzione all’esportazione. Ma dopo anni di indiscussa supremazia, in una città sempre più devastata dalla “roba”, il plenipotenziario padrino di origini napoletane a capo della French, Gaëtan Zampa (Gilles Lellouche), si ritrova ora davanti al suo vero primo avversario: Pierre Michel (Jean Dujardin). L’incorruttibile magistrato dalla schiena dritta, messo a capo di un manipolo di uomini scelti, ha deciso infatti che il regno della French deve arrivare ad una conclusione. Inizia quindi una vera e propria guerra, nella quale Zampa si sposta agevolmente dalla costa transalpina fino agli Stati Uniti, impartendo la sua legge a chiunque provi ad opporvisi. Un’espansione drammatica e vorticosa che assedia Michel, il quale è sempre più consapevole a cosa stia andando incontro (e a nulla servono le paure della moglie Jacqueline, terrorizzata dall’ostinazione di quella lotta suicida), fino al 21 ottobre del 1981 con l’inevitabile epilogo: in quella data, il giudice Pierre Michel viene assassinato in strada, lasciando un intero Paese a rimpiangerlo.

French Connection, l’opera seconda di Cédric Jimenez (debuttò con Aux yeux de tous), è tante cose in una. Partendo dal poliziesco, il regista imbastisce così una trama fittissima e ricca di rimandi, dalla quale si scorge in trasparenza un’epoca ricostruita alla perfezione - ci sono zampe ad elefante e cravatte dal grande nodone, moto fragorosissime e auto dallo stile mai più replicato -, mentre la lotta tra il Buono e il Cattivo, vista come attraverso un filtro Instagram, è lasciata alla discrezione della rodata coppia Dujardin-Lellouche (erano birichinamente divertenti ne Gli infedeli). Ed è proprio il loro scontro a distanza, ognuno da una barricata opposta e contraria, a creare un dualismo continuo, vero motore del film; uno scontro reso ancora più accattivante da una somiglianza latente: gli stessi silenzi, le stesse piccole e grandi paure - sempre scacciate però, in un notevole gioco al rialzo -, la stessa solitudine, la stessa urgenza di portare a termine quello che hanno iniziato. Un gioco a due che, senza scomodare mostri scari del passato, e volendo rimanere all’ombra della Tour Eiffel, si era visto solo nel recente e magnetico 36 Quai des Orfèvres con Daniel Auteuil e Gérard Depardieu.
E seppur tuttavia fuori da una linea guida che rinnovi il genere, senza per questo dimenticare qualche trovata di “peso” (una su tutte: l’uso insolito che Jimenez fa di Benoît Magimel), la solidità di French Connection è capace così di rinverdire quel filone policier che i nostri cugini sanno fare egregiamente (e che noi abbiamo subappaltato ormai alle fiction tv).

RDG
27-03-2015

Linear

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