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Essere o non essere Grace

Olivier Dahan torna al biopic posando la telecamera su un'icona intoccabile e inarrivabile, una figura impossibile da inserire in alcuna categoria, figurarsi in una “cornice”

 Quando si dice “uno è poco e due sono
 troppi”. Il regista - francese, ça va sans
 dire – che aveva portato sul grande scher-
 mo la storia, nonché la vita, di Edith Piaf,
 nel film “La vie en rose” (La Môme) nel
 2007, evidentemente soddisfatto del suo
 precedente lavoro che in effetti molti rico-
 noscimenti gli aveva portato, dopo sette anni torna al biopic, prendendo in prestito però un personaggio difficile da contenere quanto impossibile da “rappresentare”. Protagonista del suo ultimo lavoro è difatti “Grace di Monaco”, come recita senza troppi fronzoli il titolo stesso. Proprio quella Grace che da principessa di una fiorente Hollywood, che l'aveva vista brillare nel firmamento di stelle americane, aveva poi acquisito il titolo con la “P” maiuscola nella corte dei Ranieri.

L'arco narrativo sviluppato da Olivier Dahan si dipana lungo tutto il 1962, sei anni dopo quel matrimonio da favola, tanto seguito e celebrato, quanto ai tempi forse ancora incredibile ed anomalo, tra un rampollo di stirpe reale e una semplice attrice, sebbene non una qualunque. Un'unione destinata, come già nel di lei passato, a star sotto la luce dei riflettori. Ebbene, dopo pochi anni, e poco più di qualche inquadratura, ritroviamo una donna già stanca, incastrata in una parte che sembrerebbe non appartenerle. Mentre un ospite gradito ma inaspettato la va a trovare: Mister Hitch, altrimenti noto come Alfred Hitchcock (Roger Ashton-Griffiths), per offrirle una parte nel suo ultimo film “Marnie” (1964) e farla tornare così a recitare il suo ruolo migliore: quello di brillante attrice, e non di soffocato e inerme suppellettile reale. Una proposta che vorrebbe senza meno accettare, come si evince da quegli occhi luccicanti e nostalgici - nel film interpretati da una rinnovata Nicole Kidman – ma non senza render conto a quel marito, che sì l'ha introdotta in un mondo da favola, tra regni e castelli, ma che in quanto rappresentante di Stato di certo non può permetterle certe libertà.
Costantemente in bilico tra desiderio e rimpianto, la Grace che vediamo nel film rimane coinvolta in un gioco di potere che la schiaccia e stringe nelle sue spire mortali, spingendola più volte nella direzione della resa, della sconfitta, sia come attrice che come principessa. Ma la donna forte che è in lei non ci sta, e incoraggiata dal consiglio di una cara amica – nientemeno che la Callas (Paz Vega) – riprenderà in mano le sorti non solo della sua vita, con decisioni drastiche e fondamentali, ma persino di quel regno che ancora la percepisce come corpo estraneo e in quanto tale la rifiuta. Va a lezioni di francese, di portamento e soprattutto di comportamento, a lei avulso ma necessario per risanare il buon nome della casata e rimettere ordine a Palazzo.
Un ordine ormai lontano dall'esser tale, all'indomani della guerra in Algeria, lontana al Principato di Monaco ma vicina alla Francia, che pur di perseguirla rischia il collasso finanziario, appellandosi così a Monaco, paradiso fiscale allora come oggi, e minacciandolo di imporre in sistema fiscale francese a tutte quelle imprese d'oltralpe lì trasferitesi, e peggio ancora di annettersi il Paese con l'uso della forza. Ed è proprio in questo clima teso e nervoso che arriva lei, elegante super-eroina in abito lungo, a salvare la situazione, riuscendo con un solo discorso ad evitare un'invasione, a scongiurare la guerra, a riappacificarsi con un marito che sembrava ormai perduto, e a guadagnarsi il rispetto tanto agognato e finora mai ottenuto dei monegaschi.

Insomma più che una favola - l'incipit del film si aggrappa proprio a una sua frase che recita: «La vera favola è credere che la mia vita sia una favola» - un miracolo! A metà tra un assai poco credibile senso di colpa francese per quei tempi bui, fatti di inutili guerre e arroganti pretese, e una ponderata rivalsa su un personaggio per tutti mitico tranne che per quell'angolo di Europa chiamato Francia, il film sembra più che altro un tentavo ben riuscito di screditare mitizzando, all'eccesso, e portare così la figura di una donna incredibile e intoccabile, verso il confine del ridicolo e dell'insensato.
Ma l'ironia della sorte e/o lo scarso senso di obiettività dei cugini d'oltralpe non si è fermato alla produzione del film, bensì lo ha portato addirittura in concorso a Cannes, all'apertura della kermesse, dove a difenderlo non solo dai fischi della critica, ma anche dai più che legittimi attacchi della famiglia reale, c'era una coraggiosa Nicole che ha tentanto di arginare la questione affermando: «Capisco bene che i figli vogliano preservare la privacy dei propri genitori, ma l'opera di Olivier Dahan la ritengo rispettosa. Al centro c'è la love story di Grace e Ranieri e nessuna intenzione malevola sulla loro famiglia e in particolare su Grace». Dopo che già il regista aveva provato a giustificare la scarsa veridicità degli eventi e dei personaggi narrati prendendo caute distanze dalle sue stesse intenzioni e sostenendo di non aver mai preteso di realizzare un biopic. Affermazione alquanto bizzarra, forse anche più della scelta di portarlo proprio a quel festival così prossimo, sia geograficamente che sentimentalmente, ai diretti interessati.

Noemi Euticchio
15-05-2014


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