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Lo sguardo di Satana senza Satana: Carrie 2.0

Torna sul grande schermo la storia della ragazza disadattata nata dalla penna di Stephen King e riportata a nuova vita da Kimberly Peirce. Al cinema dal 16 gennaio

 Sono passati quarant’anni dalla nascita di
 questo personaggio, protagonista all’epoca
 del libro “Carrie” (1974), primo romanzo di
 uno degli autori horror più celebri al mondo:
 Stephen King. E in effetti i suoi anni non se
 li porta male. Non tanto la giovane, rinata
 per la terza volta (la seconda nella prima
 trasposizione cinematografica di Brian De Palma, del 1976), quanto la storia in sé.
Più contemporanea che mai, racconta le vicende di Carrie White (Chloë Grace Moretz), un’adolescente alle prese con i suoi perfidi compagni, ma soprattutto compagne, che si divertono, sadiche, a prendersi gioco di lei. Ma la vendetta, complici i suoi poteri telecinetici, non tarda ad arrivare… Esposta ad ogni più becera derisione, la sfortunata fanciulla sembra avere poche altre alternative di sfogo, visto che neanche in casa viene accolta da un ambiente sano. Ad attenderla al ritorno da scuola infatti, ogni giorno, c’è sua madre (Julianne Moore), affetta da un attaccamento morboso e deleterio verso un insano cristianesimo, dove il suo dio parrebbe perennemente intento a far fustigare le sue anime pie, piuttosto che a comprenderle.
Unico ruolo mancante, quello che potremmo definire “il grande assente”, è Satana - proprio lo stesso enunciato nel titolo - visto che la ragazza non sembra certo posseduta da alcunché di demoniaco, ma solamente dotata di poteri sovrannaturali. Grazie ai quali, arrivata all’apice della non sopportazione dopo l’ennesima beffa subita proprio al ballo della scuola - meta molto ambita dagli adolescenti americani - riesce a predisporre la sua improvvisata ma certamente efficace (anche troppo!) vendetta.
E se all’epoca questi fenomeni rimanevano circoscritti alle quattro mura scolastiche, ad oggi - come ben sappiamo - “grazie” a social, filmati e foto che facilmente si diffondono in ogni dove viaggiando alla velocità della luce, la derisione che ne scaturisce per la vittima di turno è spesso totale. Ed è forse per questo che la storia, in questa riproposizione firmata alla regia da Kimberly Peirce, da caposaldo del filone horror-thriller quale era diventata grazie a “Carrie” del ’76, che valse a De Palma addirittura la candidatura  agli Oscar per due dei suoi protagonisti, sembra trasformarsi in uno dei tanti normali film adolescenziali, al cui epicentro vi è sì un forte disagio, ma senza mai trasformarsi in nulla di veramente orrorifico. Neanche con quei litri e litri di sangue sparsi un po’ ovunque.
Noemi Euticchio
13-01-2014

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